Una domenica by Fabio Geda

Una domenica by Fabio Geda

autore:Fabio Geda [Geda, Fabio]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858431993
editore: Einaudi
pubblicato: 2019-09-16T16:00:00+00:00


Mio padre rientrò in cucina.

– Cattive notizie?

– Stanno facendo una tac a mia nipote. Potrebbe aver battuto la testa.

– Oh!

– E non c’è nulla che io possa fare.

– Senta, se deve andare vada. Non importa per il pranzo.

– E come faccio? Non ho neppure la macchina. È dal meccanico. È domenica. Potrei noleggiarne una, ma prima che riesca a trovarla e li raggiunga… – I suoi occhi avevano il colore del muschio e non guardavano Elena, superavano il vetro della finestra e bucavano la collina e chissà dove si erano fermati. Poi disse: – Biella, – e sbuffò.

In quel momento Gaston entrò in cucina. Si era lavato le mani e aveva le maniche della felpa tirate su fino ai gomiti. – Per caso, – disse con un sorriso da gatto, – mi è capitato di sbirciare nell’altra stanza –. Indicò con il dito. – Allora, che aspettiamo?

Sua madre lo squadrò come non fosse certa di conoscerlo. – A volte, lo sai, riesci a farmi vergognare in un modo che solo tu sai farmi vergognare in quel modo lí.

– Che ho fatto?

– Ha ragione lui. Abbiamo tutti fame, – disse papà. – Persino io comincio ad averne. Andate di là. Io intanto metto su l’acqua per le tagliatelle.

Cosí fece. Elena e Gaston lo attesero in piedi e quando li raggiunse si sedettero e iniziarono a mangiare. Disse loro di servirsi senza fare complimenti. Il cibo riempí il silenzio e alleviò l’imbarazzo di quella compagnia improvvisata. La preoccupazione per Rachele obbligava mio padre a masticare lentamente e gli impediva di concentrarsi sulla conversazione, ma di tanto in tanto gettava un’occhiata a Elena: in fondo, doveva ammetterlo, era contento che lei e suo figlio fossero lí e che lo distraessero e lo obbligassero a pensare ad altro; oltretutto piú passava il tempo piú notava emergere in lei, in Elena, qualcosa di selvatico che gliela rendeva attraente, cosa che però faceva affiorare in lui uno spigoloso senso di colpa. Forse non era giusto. Non avrebbe dovuto. Era per quello che l’aveva fatto, che aveva trovato il coraggio di invitarli? Poi spostava lo sguardo su Gaston, che mentre mangiava mandava messaggi a chissà chi con il cellulare e ogni tanto rideva, senza perdere quella fierezza arcaica, insolita, che lo aveva colpito dal primo momento; e quella era la risposta.

Chiacchierarono di cose leggere. Elena, consapevole della preoccupazione che aleggiava sulla testa di mio padre come un nugolo di moscerini, cercò di distrarlo. Ad esempio raccontò che lei, a proposito di essere senza macchina, ecco, la macchina proprio non l’aveva, perché amava muoversi in bicicletta; per non parlare del risparmio. Ai tempi in cui era impiegata nella ditta di cosmetici passava a prenderla una collega oppure usava i mezzi. E soprattutto parlarono di luoghi, luoghi in cui erano stati e in cui avrebbero voluto andare o tornare: della carezza del sole seduti in piazza in un paesino della Camargue, del sapore del gazpacho, dell’entroterra venezuelano, o di una certa strada attraverso la Foresta Nera, tra fattorie scolpite



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